Ma gli inglesi proprietari del Palermo ci sono o ci fanno?

Ma gli inglesi proprietari del Palermo ci sono o ci fanno?

 

Bentrovati nell’Oltreclosing.

Zona grigia, annebbiata: non si vede niente.

 

Non si vedono soldi, in primo luogo. Si registrano esclusivamente movimenti di denaro (poco) tra società che hanno sì soci in comune con quella che è - comunicati alla mano - la nuova proprietà del Palermo, ma dalle quali non emerge ancora chiaramente il collegamento diretto con il club rosanero, né l’origine del denaro da immettere nelle casse sociali. Problema, quello della provenienza degli investimenti, che ad oggi non si pone perché gli unici soldi immessi dai nuovi proprietari sono i 150 mila euro che John Michael Treacy ha veicolato tramite Eight Capital. Centocinquantamila euro, ovvero un quarto dell’ingaggio annuale di Rajkovic. Al netto delle tasse.

 

Non si vede nemmeno lo stile inglese, quell’approccio posato che pure traspare dalla figura, silenziosa nella realtà e così rumorosa sui social (fino ad ora), del presidente Clive Richardson, che fino a stamattina non era al corrente delle dichiarazioni tonanti che il direttore Rino Foschi ha rilasciato nella serata di ieri in merito al caso Holdsworth-Lee. Come se il nuovo board dirigenziale abbia valutato la condotta assunta ieri, a colpi di Instagram e LinkedIn, come normalissima amministrazione: niente di strano, se è vero com’è vero che in un’azienda privata comanda il proprietario.

 

E il punto è questo: se il Palermo è stato ceduto a tutti gli effetti, come da comunicato del 29 dicembre, allora Richardson ha pieni poteri. Può scegliere i collaboratori e stabilire le gerarchie. Può persino peccare clamorosamente di stile nei riguardi di Rino Foschi e non essere raggiunto immediatamente da una telefonata dal Friuli.

 

D’altronde, il Palermo è stato ceduto per 10 euro e la subordinazione di tale cifra all’accollo del passivo “da parte del compratore, che provvederà a saldare i disavanzi di gestione per la stagione 2018-2019 e tutti i debiti pregressi”, come da comunicato del 2 dicembre, evidentemente non è vincolante o, perlomeno, non mette veti sulla gestione della società a 360 gradi.

 

Se così non fosse, ovvero se vige l’antico e sempre valido “pagare moneta, vedere cammello”, tesi avallata dal Corriere dello Sport, allora siamo di fronte ad un cortocircuito causato da un difetto di comunicazione evidente ed estremamente incisivo su questo caos interno alla dirigenza. Tra chi? Per capirlo servirebbe una telefonata dal Friuli.


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