SERIE C A DUE GIRONI E SEMIPROFESSIONISMO

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Voglio vaneggiare.
Adagiarmi dentro un ballo soffice con la compagna immaginazione.
Il maestro Stai fresco dirige l’orchestra: un lento d’ottimismo smisurato accompagna l’idea.

 

Abbasso il professionismo. Perché tutti, tranne gli ubriachi, meritiamo una Ferrari, ma se non ce la possiamo permettere, ci dobbiamo attaccare al tram (sanificato, si capisce).
Allora bando alle chiacchiere, che si fanno ogni giorno più noiose di quella - cito il poeta - cagata pazzesca che è la Corazzata Potemkin.
Non ci guardiamo a destra e a sinistra, a destra e a sinistra, e ancora a destra e a sinistra, per restare altri cent’anni sulle strisce pedonali. Attraversiamo la strada.

 

Insomma abbandoniamo l’idea malsana - a chi è venuta? A chi? - che un Serie C a 60 squadre sia una macchina sostenibile dentro il complesso ed articolato e costosissimo mondo dei professionisti.
Si riduca sensibilmente il numero. Serve una mano elementare? Solo quelle che se lo possono permettere davvero.
Due gironi in un sistema semiprofessionistico. Da qui si deve partire perché il calcio rinasca “più bello e più superbo che pria”.

 

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Perché in Italia ci hanno abituato a fare finta di niente? Ogni anno ne muoiono una, due, dieci. E ai piani alti del Palazzo - c’è più sabbia che cemento - si girano dall’altra parte.
Eppure lo ricordo bene: quando da bambino la combinavo grossa, non bastava girare la faccia per evitare le urla (ottimismo retroattivo) di mio padre e di mia madre.

No: si cercava la causa, si intendeva l’effetto, si trovava la soluzione. Percorso semplice e lineare.

 

Io ci ho fatto caso, ma sarò il solito complottista: nell’Italia del calcio si usa sempre il termine Rivoluzione, e quasi mai Riforma.
Come a voler riempire il concetto del cambiamento di gravità, insuperabile difficoltà, impossibilità. Dovremmo rivoluzionare. Sì, ad ottobre, coi compagni.

 

La facciano finita. In primo luogo il ministro. Se i soldi per allungare la vita ora al calcio minore non ci sono, lo dica con chiarezza inequivocabile. E poi costringa ad un tavolo i vertici della federazione, delle leghe, dei calciatori, allenatori, arbitri, televisioni.
Il calcio italiano va riformato. Senza esitare.

 

 

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