Il Palermo non vince e c'è chi esulta

La gestione Zamparini ha causato un fastidioso paradosso

Il Palermo non vince e c'è chi esulta

"Siamo la quinta città d'Italia, meritiamo di più", leggo su facebook alla fine di Palermo - Empoli, come se il numero di abitanti di una località facesse la differenza in campo. Beh, forse una volta sì, quando il gioco del pallone era passione autentica e chi giocava lo faceva per la maglia e per un pezzo di pane, quando i presidenti "innamorati" e non "mercenari" speravano che gli spalti si riempissero per poter pagare gli stipendi dei giocatori e degli impiegati. In quel caso la città e la capienza dello stadio facevano di certo la differenza. Ma anche a quei tempi erano dure battaglie per far quadrare i conti.

 

Con l'avvento del calciomercato e successivamente delle televisioni a pagamento, il calcio è diventato un business. La differenza in campo adesso la fa chi ha alle spalle imprenditori ricchi, anche se le squadre si chiamano Sassuolo, che ha meno abitanti di Bagheria, o Chievo, paragonabile ad un quartiere di Palermo.

Il club di viale del fante un imprenditore disposto ad investire lo ha avuto e si chiama Maurizio Zamparini. Non lo ha fatto di certo per amore e di questo, anche se abbiamo sempre provato ad illuderci del contrario, ne siamo sempre stati consapevoli. Da anni, però, l'imprenditore friulano ha tirato i remi in barca e si è "nutrito" di ottime plusvalenze e dei diritti televisivi per rimpinguare un bilancio che, non si capisce come mai, è sempre in stato emorragico. 

 

Palermo: cosa è andato, cosa no

 

Da qui la rabbia, giusta, dei tifosi palermitani, che si sentono imbrogliati, anche alla luce di recenti indagini della Guardia di Finanza che sta facendo accertamenti su bilanci sospetti, che potrebbero spiegare molti dubbi dei palermitani, ma che ad oggi sono solo supposizioni in attesa di conferme ufficiali.

Tale repulsione nei confronti di Zamparini, la nostalgia di risultati di prestigio, ma anche di un calcio pulito e passionale, porta a paradossi inimmaginabili fino a poco tempo fa: c'è chi ha deciso di non andare allo stadio per protesta, c'è chi ha disdetto l'abbonamento a Sky, c'è chi ha ribattezzato il Palermo col nome di Zamparinese e c'è chi, addirittura, tifa contro o si augura un fallimento pur di liberarsi del "padre padrone". 

 

E' bastato un pareggio contro l'Empoli per far ribollire il sangue di molti palermitani, non per i due punti persi, ma per la voglia di ribadire un concetto, ovvero che il Palermo è scarso.

La realtà però forse dice altro: questa squadra ha fatto cinque punti in tre gare, ma in tutte e tre ha manifestato superiorità nei confronti degli avversari. Forse un po' di inesperienza e anche qualche vecchio errore, ma il Palermo è uscito dal campo per ben due volte recriminando per le mancate vittorie.

 

Una squadra che ha mantenuto parecchi giocatori dell'anno scorso, tra cui Rispoli, Aleesami e Nestorovski, che sono un lusso per la B, e ne ha aggiunti altri di sicuro valore, come Gnahorè, Coronado e Monachello, e che di certo reciterà un ruolo di primo piano in questo campionato, ma in cui molti palermitani non si identificano. 

Paradosso ma anche confusione, perché la maglia e i colori sono un patrimonio della città di Palermo, a prescindere dall'imprenditore che ci sta dietro. 

Dalla quinta città d'Italia ne sono passati tanti di proprietari, ma non ci risulta sia mai stato registrato un tale scoramento. Si tifava in B, in C, senza che ci fossero grandi ambizioni nè velleità di grandi traguardi.

Si tifava e quando si perdeva sonoramente spesso si diceva: "si binnieru a paittita"; ma quasi nessuno dei fedelissimi rosanero si sognava di disertare lo stadio per questo. Non ricordo di aver mai udito "questa è la Ferrarese o la Polizzese o la Mattese..." Eppure erano tempi molto più duri di questi.

 

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I presidenti si criticavano, di boccate amare se ne prendevano, molte più di adesso, ma la domenica, allo stadio, si tifava a squarciagola. E la Favorita era un fortino difficile da espugnare, anche se in campo scendevano Hoop, Dnibi, Dittgen, Saurini, Bonaiuti, Sorce...

Con questo non si vuole affermare che non bisogna avere ambizioni e che ci si debba accontentare di quel che passa il convento, ma da qui a voltare le spalle alla propria squadra del cuore, sperando in sconfitte e fallimenti, perché chi la gestisce è "brutto e cattivo", ce ne passa.

 

Zamparini e il calcio moderno, quello legato a maglie serrate ai soldi, sono riusciti anche in questo, a confondere la gente.

Detto questo, che si ceda al più presto questa società al migliore offerente, nella speranza che chi prenderà il posto dell'odiato friulano possa mettere nel club tanto amore, che forse è il più grande assente di tutta questa storia, e tanti soldi, che in questo calcio moderno sono, ahinoi, molto più importanti della storia, della grandezza e del numero di abitanti di una città.

 

Michele Sardo