Il tecnico del Palermo? Figura estinta

Il tecnico del Palermo? Figura estinta

Pillole di storia: l’allenatore del Palermo. Più precario di un dipendente Almaviva, più ingiuriato dal suo capo di un grillino pentito, più fugace di un acquazzone a primavera, l’allenatore del Palermo è una figura oggi estinta, che ebbe il suo momento di fulgore nei primi decenni degli anni duemila, coincidente con un fase storica di successo della squadra del capoluogo siciliano. Si narra che la sua esistenza era guidata dal terrore di una scelta errata, un continuo bivio su ogni cosa, dove un’opzione sbagliata avrebbe potuto costargli il posto di lavoro. Deciderò per carne o pesce? Autobus o taxi? Cravatta a righe o tinta unita? Più di un tecnico venne esonerato, dal presidente di allora, un certo MZ, per avere messo il parmigiano sulla norma, anziché la ricotta salata. Per essere andato fuori dalla norma, insomma.
L’allenatore del Palermo doveva rispondere a più di una caratteristica per durare almeno un paio di settimane: doveva sorridere agli insulti del capo, ascoltare i suoi consigli senza però essere troppo prono, valorizzare i giovani del vivaio, ma contemporaneamente ottenere risultati immediati, avere un contratto di affitto di casa non superiore alle quattro settimane, però rinnovabile. E non avere troppo successo, che così facendo avrebbe oscurato i meriti del patron unico e leader maximo.
L’allenatore del Palermo non doveva per forza essere capace, competente, bello o fotogenico. A volte era basso, brutto, pelato, altezzoso o scostante, era del tutto irrilevante. Particolarmente apprezzato da MZ era l’allenatore di ritorno. Questo esemplare veniva cacciato salvo essere richiamato dopo uno o due mesi, per poi essere nuovamente esonerato, e così via, per anni. Si narra che questo giro di allenatori terminò in una stagione agonistica nella quale il presidente arrivò a chiamare e cacciare tutti gli allenatori presenti sulla piazza. Alla fine non ne rimase nessuno, e MZ non poté cacciarne più.