Cannata e la mia prima volta ad un incontro di boxe
Alessandro Amato

Ho conosciuto Benny Cannata ospitandolo in varie trasmissioni. Non mi piace la boxe ma ho cominciato a tifare per lui quando mi ha raccontato che si sveglia alle 4,30 per allenarsi. E, soprattutto, che non ha ancora guadagnato un centesimo. Non l’ha guadagnato nemmeno conquistando a Villa Filippina il titolo italiano dei medio massimi. I soldi (pochi) arriveranno con le difese del titolo.
Non avevo mai visto un incontro di boxe, se non in tv ai tempi di Tyson. Sono stato invitato. E sono andato. Quarta fila: Cannata mi aveva detto che da lì avrei capito cos’è la boxe dal vivo. Aveva ragione.
Anche io che non ne capisco niente ho capito che è stato il combattimento perfetto. Cannata ha cominciato come una furia, prudenza zero. Una raffica mostruosa di pugni, da destra e da sinistra, sopra e sotto, ai fianchi, in viso, a destra e a sinistra. Al primo minuto della seconda ripresa, Rettori è andato ovviamente ko. Fine.
Per mia fortuna l’incontro è durato poco. Perché la tachicardia mi ha accompagnato ininterrottamente (quello per cui facevo il tifo stava dominanando, ma l'altro uomo le stava prendendo davvero di brutto). Ma è la boxe. E’ la noble art.
In effetti, è così. Lo sconfitto, in piedi per puro caso, lascia la borsa di ghiaccio e gli amici che lo sostengono per andare da quello che lo ha appena battuto e lo porta a braccia levate a prendere l’ovazione. La mamma del perdente viene invitata sul ring. Penso: è rimasta viva mentre suo figlio prendeva pugni come non si può immaginare.
Duemila spettatori, rappresentate tutte le sfaccettature del panorama palermitano. Anche tante donne. Cannata ha pianto non so per quanto tempo alla fine: si sveglia alle 4,30 e non prende un centesimo. Fa questa vita da un paio di anni.
Ho avuto la tachicardia, non so se tornerò a vedere un incontro di boxe. Ma Benny Cannata e lo sconfitto David Rettori hanno la mia sconfinata ammirazione.
Foto di Valentino Beninati.