Ti piace vincere facile, ma è una noia

Vitogol

Ti piace vincere facile, ma è una noia

Vorrei provare a sollevare un attimo lo sguardo dalle miserie della zona retrocessione in cui siamo ancora speranzosamente impelagati grazie al sussulto d’'orgoglio dei Matusa al Matusa. Questi sono i giorni dell’'ennesima festa-scudetto della parte bianconera dell’'Italia calcistica. Una festa che si ripete uguale da 5 anni con le solite magliette celebrative, i soliti sfottò, i soliti balletti dei calciatori in mutande, i soliti peana dei giornalisti di TV e carta stampata.  
Sono solo un tifoso di calcio e non nego la mia atavica antipatia per la Juventus. Ma proprio perché amo questo sport credo che qualcosa di serio vada fatto per preservarlo dalla noia mortale che ormai lo pervade. Che competizione sportiva è mai quella in cui il valore di mercato della rosa della squadra vincitrice equivale alla somma di quelli delle sue otto concorrenti più povere (dati: transfetmarkt.it)? Che campionato è questa Serie A, un torneo che nell’'ultimo quarto di secolo solo in due casi non è stato vinto da un membro del Club delle “strisciate”? E non è che altrove si stia meglio: basti pensare alla sensazione da “asino che vola” che sta destando la cavalcata del Leicester in Inghilterra per capire che qualche cosa di profondamente sbagliato e ingiusto esiste nel “sistema calcio”. E’ mai possibile che i tifosi di quelle 2 o 3 o 4 squadre (a seconda della nazionalità) debbano essere detentori di un vitalizio costituito dal diritto inalienabile alla vittoria e quelli delle altre decine come la nostra, figli di un Dio minore, debbano sempre e solo saziarsi con le briciole? Ma che sport è mai questo?

Risparmiatemi una risposta che conosco: il calcio moderno non è uno sport, è solo una macchina da soldi e i risultati dipendono dai budget delle Società. Bella scoperta. Ma il guaio vero è che il sistema non ci lascia nemmeno un briciolo di speranza per il futuro. Esso è perverso nella sua tendenza all'’auto-conservazione. Un vero e proprio circolo vizioso: più soldi hai e più vinci, più vinci e più tifosi attiri, più tifosi hai e più incassi. E via così di seguito per omnia seacula saeculorum.

E qui invece sta l'’errore, come hanno capito benissimo gli americani, gli inventori dello “sport business”. Analizziamo lo stesso arco temporale di 25 anni del campionato NBA: anche qui esistono le “strisciate” (LA Lakers, 8 titoli e San Antonio Spurs, 6 titoli). Ma ci sono state altre 8 squadre vincitrici negli altri undici anni. Questa maggiore “varietà” della NBA (e degli altri campionati professionistici americani) è dovuta ad alcune norme a salvaguardia della competitività. In primis, il “salary cap”, ossia il tetto al monte-stipendi che impedisce alle grandi di ingozzarsi di campioni (salvo poi farli marcire in panchina o in tribuna) offrendo ingaggi che “le altre” non si possono permettere. E poi il sistema dei “draft” che fa sì che il diritto alle prime scelte dei giocatori provenienti dalle Serie minori sia concesso alle squadre peggio piazzate nel campionato dell’'anno precedente. Certo, il sistema professionistico americano presenta molte differenze rispetto al nostro (forte sistema sportivo universitario, assenza di retrocessioni), ma va apprezzato lo sforzo di aumentare la valenza competitiva della manifestazione sportiva. Per quanti soldi essa possa generare. O meglio, nella certezza di riuscirne a generare ancor di più. In fondo, un amante di libri gialli correrà in libreria alla notizia dell'’uscita del nuovo libro del suo autore preferito. Ma sai quanto sarebbe più entusiasta se non sapesse fin dalle prime righe che tanto poi va a finire che l’'assassino è il maggiordomo ?