La decrescita infelice e il dovere di Corini
Inutile scendere nei particolari di una teoria economica che in quarant’anni non è riuscita a trovare fortuna. Decrescita felice: basti sapere, in favore di metafora, che l’obiettivo prefissato risiede nell’equilibrio da ritrovare abbandonando ciò che non è più sostenibile.
Sembra facile cucire sulle spalle della compagnia di Corini questo concetto traslato sul campo da gioco: perché la ricerca fumosa che il tecnico rosanero conduce da oltre tre mesi non appare fruttuosa, efficace, utile all’obiettivo, che nel calcio ha sempre una unica traduzione: il risultato.
Se non altro perché ci si avvicina ad ampie bracciate al giro di boa navigando in acque torbide, quando non tempestose, con il punto fisso di una classifica che dall’inizio del campionato vede i rosanero residenti nei bassifondi.
Dunque la decrescita, dentro la quale, dati alla mano, già vive il percorso di una squadra confusa, apparentemente senza punti di riferimento, disillusa al punto di non sapere quali siano le corde da toccare per dare seguito ad un raro buon risultato. Passi indietro, contro la corrente delle competitor che provano e in alcuni casi riescono a rialzare la testa.
Ripensare diversi assunti, allora, per Corini diventa un obbligo: oggi più che mai, dal momento che “il tempo è una opportunità, ma non deve essere un alibi”, diceva il direttore generale Giovanni Gardini tre giorni dopo la disfatta di Terni.
E le lancette corrono con un ordine che troppe volte non si ritrova sul prato calpestato dai rosanero.
Qualcosa non funziona, si palesano ogni settimana ingranaggi rotti di un meccanismo inceppato, e il percorso è pieno di ostacoli che sembrano quasi autoindotti.
Afferrare per i capelli la decrescita, allora, per renderla meno infelice, intercettare gli snodi di un’idea che dopo 14 partite non riesce ad essere assorbita e dunque virare verso altre direzioni. Per Corini oggi è un dovere, per i suoi giocatori dal potenziale inespresso un diritto, per la società e per la piazza una pretesa.