Invece Edo
Lì, sempre lì, lì in panchina, finché ce ne hai stai lì.
La riscriviamo e questa volta la dedica va dritta ad un giovane che ha fatto della pazienza la sua arma migliore. Ne ha una tasca piena Edoardo Soleri, sin da quando ha iniziato a rincorrere il sogno di fare questo mestiere. Come caramelle amare da ingoiare, una dopo l’altra, finché non arriva quella dolce, magari l’unica, che dopo anni a girovagare dia il sapore di casa. Forse Edo l’ha trovata: sull’incarto c’è scritto Stadio comunale Renzo Barbera. Con migliaia di coinquilini urlanti che gli vogliono tanto bene. E la sua stanzetta una panchina, parola d’ordine: attesa.
Nel mondo che corre forte, Edo Soleri non ha fretta. Da quando è arrivato a Palermo ha deciso che aspettare il proprio momento non è poi così sbagliato, che non c’è muso, mugugno, mal di pancia. Soprattutto non c’è calo d’attenzione, né d’intensità: prepararsi ogni giorno come se in partita il titolare sarai tu. Ne ha fatto un manifesto della propria esperienza palermitana: Soleri oggi rappresenta la perfetta antitesi della superstar denoantri, figura ormai sdoganata, accettata e spesso digerita nel calcio del nuovo millennio, bambocci ventenni o quasi che hanno più tatuaggi che presenze, sempre pronti a pretendere qualcosa in più dopo una manciata di gol e qualche esultanza buona per Tik Tok.
Invece, Edo.
Che conosce il legno della panchina meglio dei tre allenatori che ha visto alternarsi da quando è arrivato in viale del Fante. Eppure sta zitto e lavora. E dopo che ha lavorato, raccoglie i frutti. Sempre preceduto dallo stesso gesto: riscaldamento e via la tuta, pronti sul blocco, in attesa che il tabellone luminoso indichi il tuo numero e quello del compagno che andrai a sostituire. Un pacca sulla spalla e giù in campo per dimostrare al mister, ai tuoi compagni, a tutti i tifosi e soprattutto a te stesso che quando impari a costruirlo il momento giusto, prima o dopo, arriva sempre.