Percorso non ce n'è più
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Inconsapevolmente, la sentenza l’ha pronunciata lo stesso Eugenio Corini poco più di una settimana fa.
“Percorso non ce n’è più”.
Intendeva dire altro, invece ha descritto l’epilogo.
Il suo e quello del suo Palermo.
0-3 al Barbera non si verificava da quasi sette anni. Ma a determinare la caduta dopo tanta decadenza non è certo il passivo rotondo e senza appello rimediato da un bel Venezia, pure esaltato dalle macerie rosanero. E non è l’errore del singolo, né quello dell’insieme; neanche il vaffa di (quasi) tutto lo stadio. L’annuncio di fine corsa arriva dall’episodio che una volta di più si è fatto sistema. La discesa dentro un pozzo di tutte le ambizioni e i sogni, certo a tratti velleità, e tuttavia cibo per la bocca famelica della piazza. Il timbro finale si manifesta con un nuovo sgretolarsi di ciò che già non era più intero. E che forse non lo è mai stato.
Percorso non ce n’è più perché il Palermo, infine, ha sbagliato strada. Quella tattica, quella tecnica, atletica, mentale, persino comunicativa. La classifica dice quinto o sesto posto, non cambia: il sentimento dei tifosi urla ultimo. Le scelte, le parole, le indicazioni, i nervosismi e le risposte piccate, le analisi dopo fischio finale, le vittorie belle e le bruttissime sconfitte, l’altalena perpetua e imperitura.
Non sono ancora terminati, eppure sembrano già finiti questi due anni di tradimento: questo è a scatenare la rabbia che a volte si fa ingiustificabile odio. Il percepito tradimento: tu quoque, Genio. Già bandiera dei momenti più alti, trascinatore della risalita dai trent’anni di inferi, oggi guida senza faro.
Nel percorso che non c’è più si cercava l’eccellenza, si è trovata mediocrità. Non poteva bastare.