Palermo, l'Italia e il fratello. Parla Mauri

Palermo, l'Italia e il fratello. Parla Mauri

Juan Mauri - centrocampista del Palermo, fratello del più giovane José - ha rilasciato una lunga intervista a Il Giornale di Sicilia stamane in edicola.

Il calciatore argentino, tra le tante cose, ha parlato delle prime sensazioni vissute in questo periodo iniziale di ritiro e del rapporto con i compagni di squadra.

 

Ero in Argentina, in vacanza, avevo 4-5 richieste importanti dalla Serie C. Una domenica, il mio procuratore (Dino Zampacorta, ndr) mi ha chiamato dicendomi di avere avuto un contatto col Palermo. Il lunedì mattina ho preso l’aereo e martedì sono arrivato. Il Palermo è il Palermo, a prescindere dalla categoria. Mi aspettavo una chiamata importante per l’annata che ho fatto ed è arrivata. È stato facile per me dire di sì.

Puntiamo alla C, questo mi ha convinto. Quando sei in una squadra così grande, l’unica cosa a cui pensare è questo.

 

Sulla città di Palermo.

A Palermo sono già stato alcune volte. Principalmente in aeroporto, quando giocavo all’Akragas, poi ho visto anche un Palermo-Milan al ‘Barbera’ nel 2016, ma vinse il Milan.

 

Continua…

Sapevo a cosa andavo incontro, sapevo di non entrarci nulla. Sono stato realista, due giorni dopo essere arrivato in Italia sono andato all’Akragas. Già nove anni fa, quando mio fratello venne qui, ho avuto l’opportunità di giocare nel calcio italiano, ma non me la sono sentita. Senza il Milan, però, penso che non sarei mai venuto qui.

 

Il rapporto con il fratello.

È lui mio fratello, non viceversa (ride, ndr). A me però fa piacere che sia più forte e sia arrivato al Milan. È più piccolo di me di otto anni, spero che abbia iniziato a giocare per seguire le mie orme. Siamo legati, ma siamo due persone diverse: io sono più tranquillo. La domenica in cui mi hanno contattato dal Palermo siamo stati al telefono per mezz’ora e mi ha detto che mi sarei trovato in una grande squadra. L’obiettivo di giocare contro di lui non l’ho mai avuto. Magari insieme, in Argentina, tra dieci anni.

 

Sul tifo.

Io sono del River, lui è del Boca. Stessa cosa tra mia madre e mio padre, anche se tifiamo tutti per la squadra della nostra città, il Ferro Carril Oeste.

 

Aria di Argentina con Dellafiore e Santana.

Dellafiore è praticamente italiano: Santana ha vissuto più anni in Italia che in Argentina, però anche lui beve il mate qui. Diciamo comunque che il Palermo in Sudamerica è conosciuto tanto per i tanti campioni come Dybala, Pastore, Vazquez e Cavani.

 

L’esempio da seguire.

Non ho un idolo, ma mi piaceva vedere giocare Zidane, Riquelme e Pirlo. Mi piace questo tipo di centrocampista, che sa sempre cosa fare col pallone. Guardo a quella tipologia di giocatore, non ai mediani di copertura. Gente che fa la differenza con un tocco. Io ho sempre giocato a centrocampo: a due, da solo, da mezzala sinistra. Alla Paganese ho giocato da interno mancino, da ragazzino ho giocato addirittura da trequartista. Più avanti si va con gli anni, più si arretra la posizione in campo.

 

Su Martin.

È troppo forte, per me la sua presenza è uno stimolo. La prima volta che l’ho visto ho pensato ‘m… quanto è forte‘, ma credo che possiamo giocare insieme. Basta adattarsi.

 

Il primo pensiero sul tecnico Pergolizzi.

Mi rendo conto che è una bella sfida anche per lui e per i tanti compagni palermitani, ci fanno sentire questa voglia in più che hanno. È stato bello vedere duemila persone per la prima amichevole, ma me l’aspettavo. Spero che la gente possa dare una spinta decisiva: mi è capitato in Argentina di giocare dinanzi a 40-50 mila persone e spero di rifarlo.

 

Infine, Palermo l’occasione della vita.

Penso che tutti i giocatori debbano sognare, ho trent’anni ma mi sento benissimo. Lo scorso anno ho giocato 35 partite e non ho avuto alcun problema. Può essere un’occasione importante per continuare a migliorare.