Ci sono tifosi e "Tifosi"

Il campionato non è ancora giunto al termine e le pay tv hanno iniziato a bombardarci con pubblicità sugli sconti eccezionali se ti abboni ad un qualsiasi pacchetto calcio. La voglia di togliere clienti allo stadio, li spinge ad utilizzare slogan forti, per il tifoso verace, veramente offensivi: "I veri tifosi si abbonano a tizio a Caio e Sempronio", " tutto lo spettacolo del campionato a casa tua, come al cinema", "Tutta la champions solo su... non sulla tv satellitare". Frasi aberranti per un tifoso di qualsivoglia squadra. Innanzi tutto il tifoso, non ha la minima intenzione di regalare soldi a quanti coloro, negli ultimi anni hanno maggiormente contribuito a rovinare quel poco di vero che resta nel calcio, hanno deciso i calendari di intere stagioni calcistiche, spostando partite al sabato, alla domenica ad ora di pranzo, al venerdì, al lunedì, hanno distrutto tradizioni pur di trasmettere le partite ad orari assurdi, ma ottimi per i mercati asiatici in forte espansione. Detto questo, il buon tifoso viene anche etichettato come delinquente, quindi risulta schedato con una tessera del tifoso che non serve a nulla, sei incensurato ma comunque schedato perché vai allo stadio, anzi come dicono loro sei fidelizzato. Essere tifosi, per come la pensano milioni di persone nel mondo, significa svegliarsi il giorno della partita ed avere come primo pensiero un "finalmente è arrivato il grande giorno", ancor prima di dire buongiorno a tua moglie o alla tua fidanzata (tanto non scoprirà mai cosa pensi veramente la domenica mattina). Dopo aver pensato che finalmente è arrivato il giorno della partita inizia impazientemente a scrutare il cielo (l'anno scorso al solito pioveva sempre) e subito dopo l'orologio, con le lancette che scorreranno sempre lentissime, più lente dell'ultima ora del venerdì prima delle ferie. Il tifoso inizia poi a preparare meticolosamente il suo vestiario da stadio: stessi jeans, stessa felpa, stessa sciarpa, solitamente, nella vita di tutti i giorni è curatissimo, impeccabile nell'abbigliamento, va allo stadio sempre vestito uguale, fa sempre lo stesso percorso ed estrae l'abbonamento sempre nello stesso punto. Il tifoso arriva allo stadio, si "strafoga" di qualunque tipologia di cibo, passa il primo controllo, dove verificano che quello della tessera sia effettivamente lui, passa alla perquisizione corporale dello steward, solitamente un laureato ad Oxford, che fa sempre le stesse domande: "Fumi?" - "No", "Hai l'accendino?" - "Non fumo, no!" (la tentazione di domandargli se è imbecille o lo pagano per farlo è tanta) - "Va bene svuota le tasche", controllo minuzioso degno di un check-in all'imbarco per gli Stati Uniti d'America e poi finalmente il passaggio nel tornello e l'arrivo in curva. Quattro chiacchiere con gli amici e poi inizia la partita, quella vera, quella che i "veri tifosi" guardano sulle loro piattaforme televisive. La partita si divide in speranza, quando la squadra attacca, sofferenza quando la squadra soffre o difende con i denti quel cavolo di 1-0 arrivato su calcio d'angolo in mischia al 63' minuto grazie ad un colpo di testa sporcato dalla caviglia di un difensore, passione quando si incita la squadra o si offende la tifoseria avversaria (l'offesa verso la tifoseria rivale è insita nella cultura sportiva, come lo sfottò) ed infine gioia o delusione a seconda del risultato. Alla fine della partita il tifoso (non quello in pantofole) è stremato, non vede l'ora di arrivare a casa e riposarsi. Il tifoso "pantofolaio" dopo aver visto la partita sul suo bel divano, analizzerà ogni possibile fuorigioco, ogni possibile fischio dubbio dell'arbitro, ogni teorema complottistico dei vari opinionisti televisivi e poi spegnerà la tv perché lo spettacolo è finito. Sia chiaro, nulla di personale contro tutti coloro che si abbonano a piattaforme satellitari o terrestri per seguire le loro squadre ma per favore non chiamateli "veri tifosi", quello vero è colui che prende la neve, la pioggia, il freddo o il caldo sugli spalti, quello che esulta come un bambino o piange a dirotto per un "furto" subito, il tifoso piange perché quell'attimo è sportivamente drammatico. La gente va allo stadio, in tutto il mondo, per gli stessi motivi. Tifare, appassionarsi, svagarsi, gridare, ridere, ubriacarsi, e sentirsi parte di una comunità. Sono i particolari, che ti fanno capire tutto, e basterebbe questo, a dare l’idea dell’abisso che separa la gestione del rito popolare dello stadio rispetto al divano. Ecco perché non bisognerebbe fare confusione tra il tifoso ed il "T.ifoso".