Chi ha paura del «Barbera»?

Ancora una volta in questa stagione il calore dello stadio ha prodotto sul Palermo l'effetto contrario

Chi ha paura del «Barbera»?

 

Infine, il raccolto magro di una stagione illusoria, fatta di momenti, di episodi e di sfortune. 
E di scelte. 
Un campionato aspro, quello del Palermo, a tratti dolce e troppo spesso amaro, raramente gentile e quasi sempre cinico e spietato. Ma è la Serie B, e non si potevano pronosticare discese, né volate trionfali. Neanche nei lampi apicali che hanno illuminato di luce rosa le tante ombre nere, nemmeno quando la classifica sorrideva in virtù dei buoni risultati, forse casuali, forse determinati dagli altrui demeriti.

 

Il Palermo che rischia poco ma non fa gol al Cesena è, in fondo, il prototipo rosanero della stagione 17/18: una compagine che ha usato tutte le energie per costruire solide mura ai piedi delle quali ripararsi, con buona pace dell’atavico - e a dirla tutta evidente - concetto secondo il quale, alla fine, non vince chi subisce di meno, ma quasi sempre chi offende di più e meglio.

 

Questione di equilibrio.
Non solo sul piano dei principi di gioco, aspetto certamente non sottovalutato dall’ex Bruno Tedino, che era comunque riuscito nell’impresa di aggregare tanti singoli giocatori in quella che col tempo è diventata una squadra.
L'equilibrio perso, o peggio mai trovato, risiede nel carattere di un sodalizio in perenne deficit non tanto di motivazioni, quanto di convinzione, di coscienza dei propri mezzi, insomma di temperamento. 


Lo dimostra il dato preoccupante che ci racconta un Palermo impaurito più dai propri tifosi che dagli avversari.

Quest’anno, in sole sei occasioni il “Renzo Barbera” ha ospitato più di diecimila supporter rosanero: dei 18 punti in palio, ne sono stati conquistati appena 7. 
Soltanto una vittoria di fronte ad un pubblico più numeroso del solito, quella contro il Frosinone (in 15 mila sugli spalti); poi il k.o. contro il Foggia (13 mila) e i pareggi contro Pescara (11 mila), Cremonese (10 mila), Bari (18 mila) e Cesena (23 mila).


Significativo che sia nella sconfitta contro i satanelli, sia nei tre pareggi sopra elencati, il Palermo abbia sempre subito la rimonta degli avversari (nel caso del match contro il Bari, per di più, in superiorità numerica).

Il fattore atletico, è certo, non si può ignorare: è acclarato - lo stesso Stellone l’ha ripetuto a più riprese - ed evidente che siano stati commessi degli errori in sede di preparazione.
Ma non può essere figlia del caso l’incapacità di gestire la pressione di un “Renzo Barbera” che anche ieri, con il record stagionale di spettatori, era comunque un lontano parente di quel fortino reboante che una volta faceva tremare la gambe, sì, ma degli avversari.

 

Troppo facile, adesso, semplicistico e velatamente populistico puntare l’indice esclusivamente sulla società che, non è una scoperta sensazionale, anche quest’anno si è resa protagonista di scelte quantomeno discutibili se non, a tratti, inspiegabili.
Si deve ampliare, però, il raggio del commento alle diverse anime che hanno contribuito a questo che a tutti gli effetti è un fallimento sportivo: dal patron all’ultimo componente dello staff tecnico, fino alla squadra, tutti responsabili ad eccezione di chi ci ha creduto davvero e, a due euro o a cinque o a quindici, adesso poco importa, ha preso posto sui seggiolini per aiutare, sostenere e spingere il Palermo verso la vittoria. Producendo l’effetto contrario.