Nel calcio come nella vita: la violenza fa schifo

Nel calcio come nella vita: la violenza fa schifo

C'è chi vede nel calcio ventidue persone che corrono dietro una palla, non capendo il motivo di tutta questa passione ed entusiasmo di fronte ad una cosa così "banale". Per altri invece si tratta di un vero e proprio culto, una religione da seguire pedissequamente e una passione che fa gioire, piangere, alle volte disperare e far scoppiare il cuore. Va bene così, perché si accetta sia chi ama follemente questo sport sia chi lo critica o non ne comprende il potere emotivo, ma ciò che può essere mai accettato è quando il calcio diventa motivo di violenza. 

 

Il tema della violenza nel calcio e negli stadi purtroppo rimane ancora una triste attualità, ed è fresco di ieri l'ultimo terribile caso in territorio siciliano. 

Siamo a Partinico e le vittime sono Basiru Jallow e il suo Casteltermini, club che milita nel girone A siciliano del campionato Promozione. La squadra agrigentina va per giocare la trasferta contro il Partinicaudace ma all'esterno dello stadio il giocatore granata viene aggredito da alcuni giocatori della compagine di casa insieme a dei tifosi locali, nonostante la partita si dovesse svolgere a porte chiuse. 

 

«Quello che è successo è una cosa che con il calcio non ha niente a che fare - ci ha raccontato in esclusiva il presidente del Casteltermini Salvino Sanvito - in trent'anni che faccio il presidente è la prima volta che mi capita una cosa del genere. Se sapevamo che doveva succedere qualcosa entravamo tutti insieme, o magari ci portavamo la tifoseria che voleva venire con noi ma siccome sapevamo che la partita era a porte chiuse siamo venuti da soli. Siamo andati a farci la nostra onesta partita mentre quattro di loro, insieme ad altri 3-4 del pubblico aspettavano questo ragazzo, una cosa indegna e vergognosa».

 

«Gli hanno dato dei pugni e l'hanno sbattuto a terra - racconta ancora il numero uno del club agrigentino - io ero un po' lontano perché stavo entrando per ultimo e non ho visto da vicino quello che è successo. Il ragazzo ha sbattuto la testa e perdeva sangue dal labbro, abbiamo identificato gli aggressori della squadra ma gli altri erano gente estranea che non siamo riusciti ad identificare. Fra di loro c'erano giocatori che all'andata neanche c'erano, quindi sembra quasi un agguato bello e buono, non capisco perché hanno compiuto questo gesto schifoso».

 

Il riferimento è legato a un presunto evento avvenuto nella gara di andata giocata fra le due compagini a Casteltermini, nella quale lo stesso Jallow avrebbe sputato ad un avversario e da lì si sarebbe scatenata la "risposta" dei giocatori del Partinico. Di fronte al terribile atto di violenza si riesce anche a parlare di calcio, ovvero di un'assenza importante della squadra castelterminese che potenzialmente ha determinato ache il risultato della gara: «ll nostro tesserato è andato all'ospedale, era messo in distinta e l'abbiamo dovuto depennare perdendo uno dei migliori del nostro centrocampo. Se avesse giocato probabilmente avremmo vinto alla grande, ci abbiamo provato ma la sfortuna non ci ha permesso di trovare la vittoria. Non c'è una giustizia sportiva che dice che in caso di torti come questi si può vincere o ripetere la partita, faremo quindi un semplice ricorso sportivo mandando una lettera alla Lega per spiegare quanto successo».

 

«Mi dispiace quando succedono queste cose - conclude il presidente Sanvito - se avessi saputo che poteva succedere una cosa come questa mi sarei messo avanti io per cercare di placare gli animi. Non potevo minimamente pensarlo anche perché abbiamo mangiato tutti insieme nello stesso ristorante». 

 

Non conta chi è vittima e chi è carnefice, non conta chi ha iniziato prima e chi ha risposto dopo, non conta neanche il movente. La violenza è sempre sbagliata. Sempre.

Atti come questi sono distanti anni luce dal potere che dovrebbe avere questo bellissimo sport ovvero di unione, divertimento, abbattimento delle barriere in un mondo dove l'odio si moltiplica a dismisura. 

Che il calcio possa ritornare ad essere quel veicolo che non ricordi a tutti del mondo in cui viviamo, ma che al contrario può dare la speranza di un mondo migliore. 


 

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