L'ultima sigaretta del patron

“Col Palermo ho chiuso”; “Metterò le azioni nelle mani degli avvocati”; “Assisterò il Palermo da tifoso, non da proprietario”.
Eccetera.
Difficile, quasi impossibile, datare alcune dichiarazioni del patron rosanero. Perché si ripetono con la massima puntualità discrezionale.
L’epilogo graduale, l’infinita fase conclusiva dell’era Zamparini a Palermo: sembra la solita storia del fumatore accanito che ha deciso di smettere. Lo vuole davvero, ci crede, pensa convintamente che quella che ha tra le dita sia l’ultima sigaretta, tanto sicuro che lo urla in piazza: “è l’ultima, poi smetto”. Poi magari aggiunge “giuro”.
Ne è così convinto, il fumatore, che quasi non la finisce, getta il mozzicone con qualche tiro ancora a disposizione per dare forza alla propria drastica irremovibile decisione, perché è già sdegnato, sufficientemente deluso da quel vizio che una volta fu tanto piacevole e adesso è soltanto nociva routine.
Un’abitudine letale, destinata a far male, se non già deleteria. Eppure così dolce da non poter farne a meno. Un vizio è un vizio: è incontrollabile e illusorio, è bugiardo e subdolo, si insinua nelle pieghe della noia e dell’insoddisfazione, non tralascia alcuna debolezza, piuttosto da lì prende forza e si amplifica.
Il Palermo come il tabacco avvolto e acceso. Si trasforma in cenere e fumo che brucia negli occhi degli investitori, dei magistrati, dei tifosi, in qualche caso, chissà, anche dei propri giocatori. Sembrava che potesse non finire mai, invece si consuma sempre più in fretta, a boccate ampie, con un filtro piccolo e smagliato tenuto insieme dai più volenterosi e innamorati tra i tifosi rosa.
Ma un vizio è un vizio, allora dopo aver lanciato proclami e scritto i titoli di coda, dopo aver assicurato tutti circa la ferma intenzione che lo pervade, il fumatore, che pure davvero avrebbe voluto dire basta, finisce inevitabilmente per chinarsi e raccogliere il mozzicone ancora ardente col quale accendere un’altra ultima sigaretta. Che diventa sempre la penultima.